lunedì 5 agosto 2013

Pezzi di vetro


I frammenti colorati delle vetrate coprivano il pavimento come un mosaico variopinto. La luce entrava dagli scheletri ammuffiti delle finestre a cui la vegetazione si aggrappava.
Entrai facendo attenzione a non inciampare, sollevando leggermente la gonna del vestito nero di pizzo. Lo spettacolo era stupendo, i riflessi colorati dipingevano le pareti di colori sgargianti, proiezioni di quello che un tempo erano. La nostalgia riuniva i piccoli pezzi di vetro che avevo visto uniti dietro le tende bordeaux del “Ristorante sopra la collina”, considerato uno dei migliori ristori di lusso di Empoli.
Mi ci aveva portato solo una volta il mio amante, Pierre e subito me ne ero innamorata. Le luci delle candele vibravano flebili e sottili contro la notte, la potevamo solo intravedere per le tende tirate. La piccola fessura di buio era come filtrata dal colore del vetro, distorcendo i colori al di là, mi sentivo immersa ancora di più in un mondo parallelo.
Esistevamo solo io e lui.
La sua mano era posata sulla mia in un tocco così caldo da farmi formicolare la pelle.
Mi sentivo viva.

Ci eravamo conosciuti su un set fotografico. Lui con la camicia color oceano a risaltargli gli occhi se ne stava seduto in disparte, con la gamba fasciata dai pantaloni di pelle nera e poggiata sul ginocchio, il braccio sul bracciolo della sedia e l'altro a sistemare il ciuffo di capelli biondo ramati che gli accarezzavano i lineamenti dell'est.
Nulla era imperfetto in quel corpo snello e muscoloso e il suo abbigliamento lo avvolgeva senza dover sforzare la fantasia per seguirne l'armonia.
Si voltò a fissarmi. Gli occhi più belli che avessi mai visto, un' acquamarina senza alcuna sfumatura, limpidi e penetranti. Sembravano volermi assorbire.
Il suo sguardo era così intenso come se tutto attorno a noi reggesse solo per sostenerci, per non farci cadere nel vuoto.
Le sedie rivestite di velluto rosso, i tavoli apparecchiati con tovaglie di un candido color crema su cui le posate d'argento luccicavano.

Ma il tempo logora tutto, la forma, i sentimenti, la vita.
Il ristorante era stato lasciato cadere in frammenti. Quel ristorante che sembrava un salotto aristocratico, era diventato un piccolo scrigno in rovina di tante gemme colorate.
Mi accasciai sul pavimento, le mani tremolanti che si immersero in quei frammenti. Prendendone una manciata li lasciai ricadere in uno scroscio simile alla sua risata. Quella risata che mi accarezzava la pelle facendomi distendere i muscoli e allentare la tensione. Come se tante carezze mi toccasero all'unisono, come quando facevamo l'amore.

Eravamo tornati un'altra volta, ma ormai era troppo tardi. Il locale era già in rovina. Mi aveva fatto piacere lo stesso vederlo, tutti quei colori sembravano gridare contro il silenzio dell'abbandono. Pierre rimase incantato da me mentre giocavo con quei pezzetti sfaccettati. Mi prese tra le braccia e mi fissò, i nostri occhi riflettevano tutte quelle gemme di vetro che ci circondavano, e mi baciò. Un bacio così casto e dolce, così diverso da quelli passionali e sensuali a cui ero abituata. Per un attimo una tristezza mi percorse la schiena come un brivido, e il mio gemito tra le sue labbra diede inizio alle lacrime. Mi strinse a sé ma più lo faceva e più mi sembrava che prima o poi lo avrei perso.


Quelle gemme raccontavano una storia e portavano con loro un ricordo. Un ricordo che condividevamo io e loro, nella nostra muta sofferenza. La ricordavamo anche per Pierre, che da un anno non poteva ricordare più, lasciandomi con al collo una di quelle gemme. Una lacrima sulla quale aveva fatto incidere: “Ricorda te stessa.”

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