mercoledì 7 agosto 2013

La biblioteca dei sogni


José è davanti l'enorme biblioteca di casa Heclin. Quella casa ha un'atmosfera carica di energia, un'energia che gli scorre in tutto il corpo. Si sente in forma. Ha fatto bene a trasferirsi.
L'annuncio lo aveva trovato per caso, in una locandina dimenticata su una panchina, dove quel giorno aveva deciso di accasciarsi. Mentre leggeva le poche righe di descrizione, si era convinto che doveva partire e lasciarsi tutto alle spalle. La casa, che sembrava essersi trasformata in una discarica senza più le cure di Lora, e l'amore per lei ormai spento dopo l' aborto.

Partì nel pomeriggio per la Scozia. La casa era ancora meglio di come se l'era immaginata. Le vecchie fondamenta di pietra erano graffiate dal vento e dalle intemperie, ma erano solide e continuavano ad ergersi testarde col passare degli anni. Avevano ascoltato i mantra del monastero e adesso sostenevano il peso di una casa nobile assediata in ogni angolo dai libri.
Sparge i colori quasi a caso sulle pareti e i mobili dello studio. Restaurare la biblioteca voleva dire restaurare l'intera casa, ogni stanza è una sezione, un arto di un gigante insormontabile. Immerge la mano nel secchio. Il rosso corre tra le sue tre dita fino al polso, come il giorno dell'incidente.

La sua mente si era annebbiata per alcuni istanti.
Gli succedeva spesso, una patina trasparente si formava nei suoi occhi. Aveva l'impressione di vedere oltre le cose, ma perdeva di vista la realtà. Dentro ad una prigione di vetro rimaneva come paralizzato per alcuni attimi.
Il dottore gli aveva diagnosticato una forma di depressione che si manifestava con allucinazioni, ma lui preferiva considerarla una sorta di vetrofania. Uno sguardo attraverso ad una porta a vetri smerigliata che gli permetteva di vedere le diverse sfaccettature del mondo.
E proprio in quegli attimi non aveva visto la rotonda con l'enorme ruota, perché la vista gli tornò per vedere il rosso sulle sue mani e sul volto.

Adesso quel rosso è tutto quello che gli resta. Niente più mostre, niente più foto, niente più interviste. Niente più amore, niente più figlio, quel figlio a cui aveva sperato di poter insegnare a disegnare e stringere le manine sporche di tempera.
Tutto ciò che lo sosteneva era crollato. Da quando l'incidente lo aveva mutilato, non era più riuscito a creare la luce che riusciva a vedere nelle cose. Così l'artista visionario, José Antonio Delgado, era scappato dalla Spagna e si era rifugiato tra le spighe della Scozia per ricercare una nuova luce dentro di sé.
Ma non poteva darsi per vinto, la sua fuga doveva essere un nuovo inizio, lontano da tutti, lontano dal suo vecchio mondo, doveva ritrovarla.

Cammina per le campagne ed esce immergendosi nella natura. Più passa il tempo e meno accade dentro di lui. La luce che tutto irradia è così diversa da quella che una volta gli riempiva gli occhi.
Si chiude in casa e comincia a sfogliare tutti i libri in ogni stanza, trovando in questi proprio ciò che cercava. I sogni, la gloria, i colori delle loro vite. Lì impressi sulla carta.
E' così che decide di mostrarli a tutti, di farli uscire e vivere da quelle pagine, in una biblioteca di sogni.
Spruzzi e gocce di mille colori che brillano come piccole lacrime di arcobaleno.

Forse finalmente ha dato forma ai suoi sogni, un'opera che custodisce tante opere, mille sogni nella notte del suo.


1 commento:

  1. Steph ti scrivo, come s'è detto, un'annotazione in calce a queste righe: è emozionante il tuo modo di entrare ed uscire dalle cose, dai concetti e dalle sensazioni, quasi come se potessero scottarti.
    Critiche costruttive? Non saprei quali avanzare... dovrei segnalarti di fare più attenzione ai tempi verbali e alle loro variazioni, forse?! Teoricamente dovresti sceglierne meno di quelli che scegli, magari non ad una prima stesura del testo (il "parto" creativo è sempre degno di licenza artistica), ma attraverso una correzione personale durante la rilettura. Eppure, nonostante i passaggi tra i tempi verbali meno affini a tratti spezzino un pochino la lettura, ho la sensazione che le variazioni narrative contribuiscano a caratterizzare il tuo stile e questo tuo modo di entrare ed uscire dalle cose, senza rimanere troppo a lungo su uno stesso pensiero, sulla stessa sensazione, proprio come se potessero toccarti troppo, segnarti. Forse questo tuo stile è più affascinante del contenuto stesso della narrazione. Ha quindi senso ascoltare una critica costruttiva, quando di emozioni si parla? Forse, per un perfezionista, ma attenzione a non lasciare che le regole imbriglino uno sbuffante e giovane potere comunicativo: è giusto conoscerle, ma solo al fine di scegliere liberamente ed in piena coscienza quali rompere e quali fare proprie...!

    J

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